Sono state eseguite musiche di Beethoven, J. Brahms, L. Mayeur e C. Franck da G.B. Bonasso e M. Melsa
Lucia Lucente
Quando la sublimità della musica classica si fonde armoniosamente con la maestosità architettonica del luogo che la accoglie, l’anima dell’ascoltatore viene trasportata in una dimensione sospesa, dove l’ umano sembra sfiorare il divino. È ciò che è accaduto ieri, 4 settembre 2024, nella superba Abbazia Florense, un luogo in cui il tempo sembra rarefarsi, avvolto dal silenzio sacro delle antiche pietre e dall’eco di secoli di storia.
In questo scenario senza tempo, le immortali note di Ludwig van Beethoven, Johannes Brahms, Louis Mayeur e César Franck hanno risuonato, amplificate dalla bellezza del contesto e interpretate, con grande maestria, da Marvin Melsa al sassofono e Giovambattista Bonasso al pianoforte. Un connubio, il loro, che ha saputo tradurre in musica le emozioni più profonde, travolgendo il pubblico con una marea di sentimenti contrastanti: la potenza della vita, la malinconia del tempo, la sacralità dell’esistenza.
L’Abbazia Florense, con le sua imponenza e l’atmosfera di solennità mistica, si è trasformata in un grembo acustico, capace di esaltare ogni sfumatura sonora. Le mura millenarie, impregnate di spiritualità, sembravano amplificare la vibrazione degli strumenti, come se la pietra stessa volesse farsi partecipe di quel momento ineffabile. Il sassofono di Melsa, vigoroso, ha dialogato con il pianoforte di Bonasso, che, con delicata precisione, sapeva intrecciare trame di note, evocando visioni di cieli infiniti e abissi interiori , mentre sembrava che lo” spirito dell’ abate” aleggiasse su tutti i presenti.
Le musiche scelte, tra capolavori del repertorio classico, sono state un viaggio nell’essenza stessa dell’arte. Beethoven, con la sua inesausta tensione verso l’Assoluto, ha condotto il pubblico verso una dimensione, in cui ogni nota era una preghiera, ogni accordo un tentativo di avvicinarsi a Dio. Brahms, più terreno e malinconico, ha, invece, offerto uno specchio dell’animo umano, con le sue fragilità e i suoi slanci. Mayeur e Franck, con la loro scrittura intimista e profondamente spirituale, hanno trascinato l’ascoltatore in un’atmosfera di riflessione e meraviglia.
Al termine del concerto, l’Abbazia Florense non era più solo un luogo fisico, ma un ponte verso l’eterno, una porta socchiusa su quel mistero ineffabile che la musica, sovente, riesce a svelare.
L’esibizione di Melsa e Bonasso, perfettamente in sintonia, ha dimostrato come l’arte, nelle sue forme più alte, possa toccare corde invisibili; quelle che legano l’essere umano all’infinito. Il pubblico ha lasciato l’Abbazia con la consapevolezza di aver vissuto un momento di pura bellezza, in cui il divino e l’umano si sono incontrati, anche solo per un istante.