Cosa può spingere un ragazzo a distruggere la propria famiglia?
Lucia Lucente
Nel silenzio di una casa, che, un tempo, era gremita di voci e affetti, si è consumata una tragedia, che scuote le fondamenta della nostra coscienza collettiva. Un giovane, appena affacciatosi alla vita, ha compiuto l’atto più innaturale e impensabile: ha spezzato i legami più sacri, ha soffocato le voci di chi gli ha dato la vita nonché del fratellino, appena dodicenne, distruggendo il proprio sangue con una ferocia inaudita. Di fronte a tale orrore, ci si interroga su cosa possa aver spinto un animo così giovane a macchiarsi di una colpa tanto grave, a compiere una strage che ha distrutto, non solo la sua famiglia, ma anche la sua anima.
È forse il mondo che abbiamo costruito, questo universo ovattato e privo di autentici legami, a far traballare i giovani alle prime difficoltà? Viviamo in un’epoca in cui le connessioni umane si sono dissolte nel virtuale, in cui i rapporti affettivi sono, spesso, sostituiti da interazioni digitali, fredde e impersonali. Lo smartphone, il computer, sono divenuti i nuovi altari, su cui si sacrifica la genuinità dei sentimenti, relegando i giovani a un’esistenza alienata, sospesa tra la solitudine e una presenza fittizia, in cui il calore umano si spegne davanti a uno schermo freddo e luminoso.
Lo stare soli in mezzo agli altri, consumati dagli impegni incessanti, ciechi di fronte al dolore che ci circonda, è forse il vero male del nostro tempo. Ci siamo abituati a vivere nella superficialità, a ignorare le crepe che si aprono nelle anime fragili, a distogliere lo sguardo da chi, accanto a noi, soffre in silenzio. Il giovane, che ha ucciso la propria famiglia è, forse, il frutto più oscuro di questa indifferenza, di un mondo che ha dimenticato il valore dell’ascolto, dell’empatia, dell’amore incondizionato.
Non possiamo ignorare il grido silenzioso che si leva da questa tragedia. È un monito, un richiamo a riscoprire l’essenza delle relazioni umane, a spezzare le catene dell’isolamento, a riconnetterci con la realtà e con gli altri. La tragedia di un giovane che ha perso se stesso, al punto da compiere un atto così atroce, ci obbliga a riflettere profondamente su ciò che siamo diventati come società e su cosa possiamo fare, per prevenire che simili orrori si ripetano.
In fondo, questo atto disperato e violento è il segnale di una solitudine che ha raggiunto il suo culmine, di una disperazione che non ha trovato altro sfogo se non nella distruzione. È un invito, doloroso e urgente, a rimettere al centro delle nostre vite l’umanità, l’ascolto, la cura reciproca. Solo così potremo sperare di offrire ai giovani un mondo, in cui non si sentano più soli, un mondo in cui possano affrontare le difficoltà con la certezza di non essere abbandonati. Un mondo, infine, in cui l’amore torni a essere il fondamento di ogni relazione umana, quel sentimento che, come dice il sommo poeta “ move il Sole e l’ altre Stelle”.