Un grido silenzioso che chiede solo di essere accolto
Lucia Lucente

 

“Incredibile come il dolore dell’anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.”
Queste le parole di Oriana Fallaci sul dolore dell’ anima, quel dolore subdolo, difficilmente percepibile, che , a guisa di un uragano, colpisce l’ animo di ragazzi, che, apparentemente, hanno tutto.
Una sofferenza camuffata da sorrisi forzati, foto perfette sui social. “Il male di vivere” ,silenzioso, si annida nell’anima e cresce lentamente, ma progressivamente, fino a diventare insostenibile.
Quanti giovani, nella società contemporanea, vivono questo dramma? Protetti da una campana di vetro, apparentemente al sicuro da ogni tempesta, in quella campana esauriscono l’ ossigeno necessario alla sopravvivenza. Hanno il mondo a portata di mano, ma si sentono lontani da tutto. Hanno genitori che li amano, amici che li circondano, ma si sentono soli. Hanno sogni, che non hanno la forza di realizzare.
Viviamo in una società, che ci impone determinati standard: essere grati per quello che possediamo, non dare spazio alla tristezza , se non abbiamo vissuto un grande trauma, ma il dolore dell’anima non segue regole, non ha bisogno di giustificazioni. Esiste, e basta. E quando nessuno lo vede, diventa insopportabile.
La verità è che molti giovani non si sentono ascoltati e non perché manchino persone attorno a loro, ma perché non c’è un ascolto vero, profondo. Quello che non giudica, che non cerca di minimizzare, che non risponde con frasi fatte, come “passerà” o “non hai motivi per stare male”. Perché quando si sta male dentro, non serve che qualcuno dica che le cose miglioreranno. Serve che qualcuno resti. Il ritmo vertiginoso del mondo moderno, il “ labor omnia vincit” ha sostituito l” amor omnia vincit “e a farne le spese sono, soprattutto i bambini, vittime sacrificali di una società , che ha fatto del denaro e dell’ apparire le divinità assolute.
Forse è questo che manca: la capacità di restare accanto a chi soffre, senza la fretta di trovare soluzioni, senza la paura di guardare il dolore negli occhi.
La società offre tante cose, ma ,spesso, lesina il tempo. Non concede il permesso di fermarsi, di respirare, di perdersi un po’ senza sentirsi in colpa. Eppure, sarebbe proprio questo il primo passo: concedere ai giovani il diritto di sentire, senza vergogna.
Perché il male di vivere non è una colpa, non è un capriccio, non è qualcosa che si risolve con un po’ di distrazione. È un grido silenzioso che chiede solo di essere accolto. E forse, se imparassimo davvero ad ascoltare, molti di quei ragazzi, che si sentono soli nel caos, troverebbero, finalmente, un motivo per restare!