C’era una volta un taglialegna”, con questa frase iniziavano tante fiabe che ci raccontavano da bambini e i taglialegna esistono ancora, ma difficilmente ricoprono il ruolo di protagonisti delle fiabe moderne. Oggi le fiabe parlano d’altro, raccontano di supereroi che vivono in universi paralleli e digitali, hanno poteri straordinari e sono capaci di salvare il mondo e se stessi. C’era una volta un taglialegna, si chiamava Nikolia Zojza, abitava in un paese di montagna lontano dal suo paese nativo. Per inseguire il sogno di una vita migliore aveva attraversato il Mar Mediterraneo, e dal sud occidentale della penisola Balcanica si era trasferito sulle alture di un altipiano silano. C’era una volta un taglialegna e nel su nome, Nikolia, portava un significato: colui che vince per il suo popolo, semplicemente un vincitore. C’era una volta un giovane taglialegna, aveva 33 anni, gli stessi anni di quel Cristo sacrificato per salvare il mondo dai suoi peccati. C’era una volta un taglialegna che non è riuscito a salvare se stesso, anche lui è morto a 33 anni su una croce di legno, che senza pietà lo ha schiacciato allo stesso modo in cui i peccati del mondo hanno schiacciato Cristo. Ma Nikolia era un ottimista, un sognatore, voleva costruire la sua vita in Calabria, in quella stessa regione da dove gli stessi calabresi scappano per cercare altre terre, luoghi in cui i diritti essenziali siano rispettati, città in cui curarsi è un diritto per tutti i cittadini nella stessa misura, realtà in cui per poter lavorarare non serve la raccomandazione del Picone di turno, perché bastano le proprie competenze e i titoli conseguiti. Nikolia, forse, amava questa terra più di quanto non sia amata dai calabresi stessi, perché lui è qui che aveva scelto di vivere, voleva costruire laddove gli stessi calabresi hanno fallito.  Da ieri, Nikolia Zojza, in una fredda giornata di primavera, è diventato un numero che andrà ad incrementare quella cifra di morti sul lavoro per l’anno 2023, ma Nikolia era un ragazzo che con la sua famiglia faceva parte della comunità albanese di San Giovanni in Fiore, ci viveva da oltre sette anni, si era trasferito in Italia circa quindici anni fa.  Ieri sera i titoli dei giornali hanno diffuso la notizia di un incidente sul lavoro, in cui un operaio aveva perso la vita. Un operaio di nazionalità albanese, residente a San Giovanni in Fiore. È cronaca, lo so. Come se facesse qualche differenza il fatto che non fosse italiano o calabrese. Succede ogni volta che si racconta una tragedia, la nazionalità diventa quel fattore che identifica lo straniero, come se questo potesse far tirare un sospiro di sollievo a tutti i connazionali, ai concittadini, ai compaesani. Il dispiacere che trova conforto in un pensiero: non era italiano, non era calabrese, non era sangiovannese. Nikolia era albanese, come se potesse avere una qualche importanza. Come se il valore dell’umanità si potesse misurare sulla nazionalità riportata sul documento di riconoscimento. Come se i sentimenti fossero prerogativa dei paesi occidentali, ancora di più se industrializzati. Come se il valore delle vite umane fosse direttamente proporzionale al prodotto interno lordo di un paese. Ma oggi la comunità di San Giovanni in Fiore piange la tragica scomparsa di Nikolia, perché era diventato un figlio di questo angolo di mondo, e per essere figli non serve la cittadinanza e men che meno il diritto di voto. Per essere figli serve solo essere amati da una famiglia che ti accoglie e questa famiglia, quella della popolazione sangiovannese, oggi piange per una giovane vita spezzata, e si stringe anche con la preghiera, di qualsiasi credo religioso, al resto dei suoi cari che  continueranno a vivere sul nostro altipiano. A noi non resta che augurare a tutti loro, oggi affranti da un dolore indicibile, di continuare  a sperare e a credere che l’Italia possa ancora essere un posto migliore in cui restare a vivere. Nikolia era un figlio di questa umanità che troppe volte divide le persone in noi e gli altri e gli altri sono sempre gli stranieri poveri di cui diffidare. Nikolia era un ragazzo morto lontano dalla sua casa, dalle strade nelle quali giocava da bambino. Nikolia era un lavoratore emigrato in un Paese nel quale ha trovato la morte, prorio come quei giovani sangiovannesi morti a Monongah e Mattmark, come loro sarà ricordato per lunghi anni nella sua terra e anche in questo paese che conosce il dolore e il sacrificio di chi è partito e di quanti non sono più tornati. C’era una volta un giovane taglialegna, e nonostante questa non sia una fiaba a lieto fine, Nikolia,  continuerà a vivere nel presente di tutte le persone che ogni giorno lo ricorderanno.

MARIA CONCETTA LORIA