Scrittore e giornalista militante, fu una delle voci più autentiche del Sud
Lucia Lucente
Nicola Zitara (Siderno , 16 luglio 1927 – Siderno, 1º ottobre 2010), non fu soltanto un uomo, ma un canto , che sgorgò dall’anima lacerata del Meridione, un grido, che echeggiava dalle rive di Siderno fino alle scoscese vette calabre, recando con sé il peso di millenni d’oppressione e l’aurora di una rinascita.
La sua vita, segnata da destini familiari di mare e di commercio, fu presto travagliata da grossi problemi economici: l’impresa paterna, travolta da congiunture avverse, gli rivelò, non soltanto una sconfitta personale, ma il volto spietato di una più vasta ingiustizia.
Da quella rovina scaturì il seme della ribellione intellettuale, che germogliò in una riflessione implacabile sull’Unità d’Italia e sulle ferite inflitte al Mezzogiorno.
Scrittore e giornalista militante, autore particolarmente prolifero, scrisse tantissimi testi: “L’Unità d’Italia: nascita di una colonia”, 1971, Jaca Book ;
“Il proletariato esterno”, 1972, Jaca Book;
“Le ragioni della mafia”, 1979, Jaca Book;
“Incontro con Stefano Ceratti”, 1993, volume senza editore, stampato in poche copie;
“Memorie di quand’ero italiano”,1994, Nicola Zitara Editore;
“Tutta l’égalité”, 1998, Nicola Zitara Editore;
“Negare la negazione”, 2001, Città del Sole;
“O sorece morto”, 2005, Nicola Zitara Editore;
“L’Unità d’Italia: nascita di una colonia “2010, Jaca Book;
“L’invenzione del mezzogiorno. Una storia finanziaria “, 2011, Jaca Book;
“Memorie di quand’ero italiano”,(edizione riveduta e ampliata), Città del Sole, 2013.
Socialista nell’animo, ma mai asservito ai partiti politici, egli fu martello polemico e poeta civile, capace di forgiare parole nuove per dire l’inenarrabile.
Parlava di “nazione meridionale”, denunciava lo “stronzobossismo”, smascherava il dominio “tosco-padano” con una lingua tagliente, corrosiva, visionaria.
Non gli bastava registrare il dolore del Sud: egli lo traduceva in bandiera, lo elevava a progetto di liberazione.
Zitara fu profeta di una patria negata.
Vide nel Regno delle Due Sicilie, non un relitto storico, ma una radice viva da cui far germogliare un ordine giusto; sognò un Sud libero, capace di piegare le mafie e di riscattarsi dalla miseria, ma solo se emancipato dal giogo coloniale. Non temette di proclamare, con ardore, che sapeva quasi di eresia, il diritto del Mezzogiorno a separarsi, a rifiorire nella propria autonomia politica ed economica.
Intorno a lui si raccolsero discepoli e amici, gli “zitariani”, mossi dall’incanto delle sue parole e dal coraggio delle sue sfide impossibili.
Nei suoi libri, nei suoi articoli, persino nel suo sito “Fora”, risuonava un solo imperativo: rompere le catene, riscattare la dignità di un popolo, dal 1861 dimenticato, beffeggiato, sfruttato, colonizzato.
Quando morì, il primo ottobre 2010, la sua Siderno accolse non solo un figlio, ma un testimone della grande ferita meridionale. Di lui resta un lascito ardente, un canto che non si estingue: la certezza che il Sud non è un’ appendice, bensì una nazione in attesa di rinascere.
In questi giorni convulsi, nei quali la campagna elettorale infiamma le piazze e i candidati si contendono il primato a colpi di promesse, sempre più roboanti, vi è un solo, ineludibile imperativo: amare la nostra terra, custodirne l’anima e indirizzare ogni sforzo al compito di riportarla ai suoi antichi fasti, affinché torni a risplendere, come un astro, nel firmamento della storia.