Ricorre oggi il centenario della nascita del grande scrittore calabrese
Lucia Lucente

Nato a Sant’Agata del Bianco, tra le aspre terre della Locride, il 16 Agosto del 1924, Strati ha incarnato nelle sue opere l’anima profonda della Calabria, quella fatta di fatica, di emigrazione e di resistenza silenziosa. Figlio di contadini, egli stesso lavoratore della terra e muratore, ha saputo innalzare il quotidiano a epica universale, raccontando, con vibrante intensità, la vita degli ultimi, dei dimenticati, di coloro che lottano per un’esistenza dignitosa nei meandri più reconditi  della storia.
La sua passione per la letteratura, coltivata nei ritagli di tempo, con svariate letture, si accese, come un fuoco sacro, grazie a un parente emigrato in America, che gli permise di riprendere gli studi e di iscriversi, prima al liceo “ Galluppi” di Catanzaro e, poi, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Messina. Fu in quell’ambiente, sotto la guida del critico Giacomo Debenedetti, che la voce di Strati trovò la sua strada, emergendo con “La Marchesina”, una raccolta di racconti che già racchiudeva in sé il germe della sua poetica.
Il trasferimento a Firenze nel 1953 segnò un altro snodo fondamentale della sua esistenza. Qui incontrò la donna, che sarebbe diventata sua moglie, Hildegard Fleig, e qui, tra le mura domestiche e il fervore culturale della città, continuò a dare forma al suo universo letterario. Opere come “La Teda”, “A mani vuote”, “Il Nodo”, “Noi Lazzaroni” e “E’ il nostro turno” disegnarono un mosaico di voci e volti, un affresco che, pur partendo da una realtà locale, si apriva a una dimensione universale.
Ma fu con “Il selvaggio di Santa Venere”, pubblicato nel 1977, che Strati raggiunse l’apice del riconoscimento, ottenendo il prestigioso Premio “Campiello”, un romanzo che, come un canto corale, racchiudeva in sé il dolore e la speranza, la rabbia e la tenacia di una terra e di un popolo. E dopo, ancora, altre perle come “Il diavolaro” e “La conca degli aranci” arricchirono la sua produzione, mantenendo viva la fiamma di un racconto che sapeva farsi specchio dell’anima umana.
Negli ultimi anni, con la salute vacillante e le parole che si facevano sempre più rare, Strati si era ritirato in un silenzio che, sebbene doloroso, non aveva offuscato il suo lascito. Il riconoscimento del vitalizio previsto dalla legge Bacchelli, ottenuto nel 2009, fu un piccolo tributo a un uomo, che aveva dato voce a chi voce non ne aveva.
Le sue opere resteranno come pietre miliari di una letteratura che, senza clamore, ha saputo toccare le corde più intime del nostro essere, ricordandoci che, anche nel dolore e nella fatica, si cela una forma di bellezza eterna.