Amore e morte dominano nel testo
Lucia Lucente

Nell’ ambito dell’ iniziativa Cultura in Fiore,
Letture Florensi , Venerdi’18 Ottobre 2024,
ore 17:30, presso la biblioteca comunale, “Palazzo De Marco”, è stato presentato Il libro “”Giuditta Racconto dell’Attesa” di Nicodemo Vitetta. Presenti, oltre all’autore, l’ assessore alle politiche sociali, Claudia Loria e, in qualità di moderatore, il nostro direttore Antonio Mancina. Il posto è apparso, da subito, ideale per l’evento, che si è svolto in un’atmosfera calda e affascinante, consentendo ai presenti di immergersi pienamente nella narrazione. In prossimità, l’ atmosfera mistica della Chiesa madre, di quella dell’ Annunziata e, non troppo lontana, della superba abbazia florense.

Il testo appare come una vibrante dichiarazione d’amore, una celebrazione intima e, al contempo, universale. La voce dell’ autore non è semplicemente quella di un narratore, è un atto di venerazione, quasi sacrale, nei confronti di una donna, che continua a parlare, attraverso il marito, tra i veli di un diario, che si fa reliquia.
La trama del racconto si tesse sulla vita di Giuditta, una figura, che appare come il perno di una famiglia, che affronta le vicissitudini della vita con quella resilienza segreta e discreta, tipica delle donne di straordinaria sensibilità. La narrazione non si limita a ripercorrere i momenti essenziali dell’esistenza di Giuditta, ma si espande, con la delicatezza e la cura di un artigiano della memoria, ad abbracciare le storie e le sofferenze di un’intera genealogia familiare. L’ autore, con gesti lenti e meditati, intreccia dolori, gioie e speranze in un affresco, che racconta, non soltanto la sua storia, ma quella di ogni famiglia, che vive, soffre e ama nel silenzio dei giorni.
È impossibile non notare la delicatezza, con cui restituisce la voce a Giuditta. Ella non viene mai delineata attraverso discorsi imponenti o gesti teatrali, ma è rappresentata nell’essenza di una finezza culturale, che si esprime più nei modi che nelle parole. Il suo tratto distintivo è l’affabilità, una forma di gentilezza così radicata da diventare un linguaggio autonomo, un silenzioso discorso che si fa, per chi sa ascoltarlo, poesia. In questa figura
si avverte una forza spirituale, che trascende l’umana fragilità e si radica nella profonda religiosità, che la pervade, dando a ogni suo gesto un significato sacro e luminoso. Il Vitetta, con una penna, che scorre leggera come il filo di un ricamo, restituisce alla narrazione una bellezza quasi arcaica, dove il dolore viene accettato con la dignità di chi è consapevole del suo posto nell’ordine cosmico delle cose. Eppure, in questo diario, che pare ancorato a un passato remoto, si sente la vitalità del presente, un pulsare di sentimenti, che, pur nati in altri tempi, parlano, con potenza e verità, all’animo contemporaneo. La sofferenza diventa un filo d’oro che lega le generazioni, non in una sterile accettazione della vita, ma in un costante atto di trasfigurazione del dolore in bellezza e della perdita in memoria immortale.
Questo testo si erge a monumento della vita e dell’amore, ma non cede mai alla retorica o all’eccesso sentimentale. In ogni pagina si avverte una sobrietà, che conferisce alla narrazione una solennità quasi liturgica, in cui ogni parola è pesata e ogni emozione distillata con cura. È, in fondo, un racconto che esplora la sacralità del quotidiano, quel regno segreto di piccole attenzioni e silenzi condivisi, che costituisce il vero tessuto di ogni esistenza autentica.
Nel complesso, l’opera appare come una profonda meditazione sulla memoria, sull’amore e sulla perdita, ma anche, e soprattutto, su come, attraverso la narrazione e il ricordo, si possa restituire voce a chi l’ha perduta, prolungandone l’eco oltre il tempo. Un libro, che parla al cuore, ma lo fa con un linguaggio pieno di reverenza e mistero, come una preghiera sussurrata nell’oscurità, che continua a risuonare, lieve e persistente, nelle pieghe del tempo.

