Case della Comunità: la salute che ricuce la Calabria

Francesco Aiello

In Calabria la sanità territoriale è una sfida sociale e politica. Le Case della Comunità possono diventare presidi di fiducia e prossimità.

In questa breve nota su OpenCalabria, Angelo Palmieri collega il tema alla sfida regionale Occhiuto–Tridico e agli esiti attesi delle politiche pubbliche.

 

Angelo Palmieri

 

 

 

 

In Calabria parlare di sanità territoriale significa affrontare una sfida innanzitutto sociale. Le Case della Comunità non sono semplici edifici sanitari: rappresentano un cambio di paradigma che scalfisce il primato dell’ospedale come unico presidio di cura e restituisce al territorio la dignità di luogo terapeutico e relazionale.  La salute non è solo atto clinico: è relazione, intreccio di capitale sociale, appartenenze e memorie collettive. La CdC diventa così un’infrastruttura di legami, una piazza sanitaria dove la cura smette di essere gesto tecnico e diventa pratica di cittadinanza. Qui confluiscono fragilità individuali e responsabilità collettive, prossimità dei professionisti e autonomia dei cittadini.

Fratture storiche e nuove diseguaglianze
La Calabria vive da decenni forti squilibri tra costa e montagna, centri urbani e aree interne. Oltre il 30% della popolazione risiede in comuni sotto i 5.000 abitanti, spesso in zone montane o collinari, con viabilità fragile, trasporti intermittenti e una rete digitale discontinua. Queste condizioni creano una “doppia distanza”: fisica – perché i servizi sono lontani – e simbolica, perché chi vive nei piccoli centri sviluppa una percezione di esclusione e sfiducia verso le istituzioni. Il risultato è un ricorso massiccio alla mobilità sanitaria: nel 2022 la spesa per cure fuori regione ha raggiunto 304,8 milioni di euro, un esborso che non è più una libera scelta ma necessità imposta da carenze strutturali. In queste comunità un banale controllo medico può trasformarsi in un viaggio di ore, mentre per un anziano solo o una famiglia senza mezzi adeguati il diritto alla salute diventa un percorso a ostacoli. Qui le Case della Comunità devono nascere come presidi permanenti, non solo per garantire servizi di base ma per ricostruire fiducia e capitale sociale.

Una sfida culturale e politica
Costruire una sanità di prossimità in Calabria significa riconoscere il territorio come risorsa e non come problema.
Le Case della Comunità possono diventare luoghi di ricomposizione delle disuguaglianze e di costruzione di capitale sociale, dando concretezza all’articolo 32 della Costituzione. Perché questa rivoluzione silenziosa si compia occorrono tre condizioni imprescindibili: presidi permanenti nelle aree interne, investimenti seri in infrastrutture materiali e digitali e una governance trasparente che metta al centro la partecipazione civica.

E qui il discorso si fa inevitabilmente politico. Chi aspira a guidare la Regione – dal presidente uscente Roberto Occhiuto al candidato Pasquale Tridico – non può limitarsi a enunciare buone intenzioni o a rincorrere slogan elettorali.

Le Case della Comunità richiedono visione, programmazione e capacità di misurare risultati, non annunci ad effetto. E occorre dirlo con chiarezza: gli interessi consolidati di alcune potenti famiglie calabresi che da anni prosperano sulla sanità privata, alimentando un “out of pocket” studiato a tavolino con complicità silenziose, continuano a drenare risorse e a indebolire il servizio pubblico. Senza un contrasto netto a queste logiche speculative, ogni piano di riforma rischia di restare lettera morta. Su questo terreno, quello della sanità territoriale e della giustizia sociale, si misurerà la credibilità della prossima guida regionale. La Calabria non ha bisogno di promesse, ma di scelte coraggiose: portare la cura dove oggi ci sono solo distanze, costruire fiducia dove oggi regna sfiducia, trasformare il PNRR da occasione finanziaria a patto civico con le comunità.

Chi siederà a Palazzo Campanella dovrà dimostrare che la salute non è merce elettorale ma diritto vivo e misurabile, capace di trasformare le aree interne da periferia dimenticata a cuore pulsante della rinascita calabrese.