Grande storico e politico nel senso più nobile del termine
Lucia Lucente


Ricordare Rosario Villari, nel centenario della nascita(luglio 1925–luglio 2025), significa parlare di una delle intelligenze della seconda metà del ‘900, che hanno inciso profondamente tanto sul piano del sapere quanto su quello dell’impegno civile. Villari non è, infatti, solo una figura eminente del mondo accademico, ma colui che ha stabilito un legame tra ricerca e coscienza, tra interpretazione del passato e costruzione del futuro.
Originario di Bagnara Calabra, nato in un’Italia ancora rurale, scossa dalle fratture del Ventennio e dalle eredità postunitarie, Villari fu testimone e parte attiva dei mutamenti radicali della Repubblica. Fervente antifascista e filologo eccezionale, non separo’ mai l’indagine scientifica dall’urgenza morale. La Storia fu per lui, non qualcosa di evanescente e concluso, bensì un laboratorio sempre vivo di conflitti, tensioni, scelte.
È soprattutto nella sua interpretazione dell’età moderna – con opere fondamentali come” La rivolta antispagnola a Napoli “e “Poteree popolo nella Napoli barocca “– che Villari ha lasciato un’impronta indelebile. La sua attenzione per i fenomeni di lunga durata, per le dinamiche del potere e le forme della resistenza popolare, ha fatto di lui un protagonista del rinnovamento storiografico italiano. Il suo sguardo, ampio e, al tempo stesso capace di cogliere il dettaglio rivelatore, si è costantemente posato sui nodi, in cui si intrecciano potere politico, struttura economica e coscienza collettiva. Villari ha saputo parlare delle plebi come soggetti storici e non come comparse, restituendo voce e dignità a chi la storiografia tradizionale aveva relegato ai margini. Con acume analitico e sensibilità politica, ha scandagliato l’intrico delle rivolte, delle appartenenze locali, dei tentativi di riforma – da Masaniello al sogno del giansenismo
Rosario Villari non fu, però, solo un grande storico: fu anche intellettuale militante, dirigente del Partito Comunista Italiano, parlamentare europeo, animatore di dibattiti culturali, che attraversavano le linee di faglia dell’Italia postbellica. Il suo marxismo fu sempre strumento critico; il suo europeismo, un orizzonte etico , prima che istituzionale. La politica, per lui, non era un esercizio di potere, bensì il prolungamento naturale della riflessione storica nella sfera pubblica.
Villari apparteneva a una generazione , purtroppo in via di estinzione, in cui cultura e militanza si specchiavano l’una nell’altra, senza essere settoriali o autoreferenziali. La sua figura incarna l’utopia concreta di un’epoca in cui l’intellettuale aveva ancora un ruolo guida, una funzione pedagogica, una responsabilità collettiva.
Celebrarne il centenario e tornare a leggere Villari significa parlare a un presente disorientato, in cui la memoria storica si frantuma sotto il peso dell’immediatezza e la politica appare, sovente, priva di visione. Villari ci ricorda che comprendere il passato non è un esercizio accademico, ma un atto di responsabilità.
Come un albero, che affonda le radici nell’ eternità del tempo, per innalzarsi verso la luce, così la sua opera continua a offrire riparo e orientamento.
Nel nome di Rosario Villari, il mestiere dello storico torna a essere ciò che è sempre stato nei momenti decisivi della civiltà: una forma alta di amore per la verità, un atto politico nel senso più nobile del termine.