Nel silenzio rotto da una piovosa giornata di fine autunno, l’ultimo eremita della Sila, ha terminato il suo lungo cammino su questa Terra. Pasquale Talarico “Bettina”, aveva 96 anni e la gran parte di essi li aveva trascorsi in pace con sé stesso e con il resto del mondo. Zio Pasquale, come veniva chiamato da tutti, dopo varie convivenze con diverse località silane, dal 1970 si era stabilizzato definitivamente, da solo, in un luogo ameno e sperduto, situato alle falde della Sila Grande, sotto la montagna di Campo di Manna, in agro di San Giovanni in Fiore, a due passi dalle zone più accidentate del fiume Neto, dove la Sila cede il passo alle colline dell’alto crotonese, un balcone naturale con vista mare che talvolta sembra tenderti la mano.

Zio Pasquale ha vissuto con pochissimo e senza pretese, una vita passata dietro le capre e, abitando gli ultimi quarant’anni della sua vita, in una baracca con poche lamiere arrugginite e muri in pietra a secco, senza malta! Penso che abbia vissuto con felicità in un mondo che noi non abbiamo mai compreso. Forse non ha avvertito nemmeno la solitudine, le sue capre (divenute selvagge e inavvicinabili dopo la sua assenza) e il suo mulo, sono stati un’ottima compagnia come del resto lo sono stati pure i cinghiali e i lupi, comparsi nel cuore della notte, oppure i tanti uccellini che gli hanno allietato le giornate, dall’alba al tramonto. In più di quarant’anni non è stato minimamente disturbato nemmeno dall’irruenza del fiume Neto, che specie d’inverno e con la tempesta, ingrossava e impetuoso sbatteva contro gli enormi macigni di granito che circondano una delle zone più selvagge dell’Appennino Calabro.

Per settimane e mesi rimaneva isolato nella sua oasi selvaggia, violata di tanto in tanto dalle visite del figlio Giovanni, di qualche buon uomo e dagli uomini di legge, che lui amava chiamare in dialetto sangiovannese come quelli della “leggia”. È stato un uomo buono, pacifico e soprattutto rispettoso dei luoghi, gli stessi che l’hanno accolto e ospitato come un elemento di quella splendida natura selvaggia. Ricordo la prima volta che lo incontrai, ero ragazzo e curioso di vedere questa persona, un po’ timoroso ma allo stesso tempo deciso. Non lontano dal suo alloggio, notai uno strano albero abbarbicato ad un costone roccioso e che lui stesso diceva di aver trovato già così vecchio e rugoso. Era un Orniello o Frassino da manna secolare, mai visto nulla di simile giacché questo genere di pianta di solito cresce in forma di piccolo albero.

Tra le varie cose, mi sono sempre chiesto se avesse riguardo per la sua salute, tenuto conto che nemmeno il morso dei calabroni lo avevano scalfito più di tanto. Ho sempre portato immenso rispetto per quell’uomo solitario, che sapeva tante cose nonostante avesse vissuto lontano dalla confusione del mondo moderno. Sapevo che aveva dei figli e che aveva avuto una moglie ma non mi sono mai permesso a chiedergli altro, semplicemente per un senso di profondo rispetto. Ho raccolto da lui tante testimonianze sugli animali selvatici che popolavano la Sila già da prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e viste le sue conoscenze non banali, mi documentavo spesso sugli uccelli che osservava, era solito indicarmi il punto dove secondo lui, tanti anni prima, vedeva uccelli simili alle aquile.

Alcune testimonianze di Zio Pasquale li ho cristallizzate in una relazione poi consegnata al prof. Franco Tassi, biologo di fama e storico direttore del Parco Nazionale dell’Abruzzo. Zio Pasquale ha vissuto da ricco pur senza nessuna comodità: senza gas metano, senza corrente elettrica, senza servizi igienici, senza medicine, senza vestiti firmati, senza telefoni o televisione, praticamente senza niente di tutto quello che abbiamo noi uomini moderni! La sua ricchezza è stata l’immenso patrimonio naturale circostante, ecco perché non ha temuto la pioggia, il freddo, il vento, la neve o il sole, ha saputo semplicemente apprezzare la natura in ogni sua forma, rispettandola e accarezzandola con la sua delicata presenza. Un uomo che trova una dimensione al suo essere, alla sua esistenza e alla sua anima, non potrà mai essere giudicato, ecco perché oggi lo voglio ricordare.

Nel 2011, a 87 anni, Zio Pasquale è stato costretto a lasciare la montagna per ragioni di salute, trascorrendo amorevolmente gli ultimi nove anni della sua esistenza terrena, presso una residenza assistenziale protetta della zona, dove si è spento serenamente il 3 dicembre 2020. In questi ultimi anni senza la sua presenza, le mie visite laggiù, sono state sempre accompagnate da un profondo senso di malinconia e tristezza. È raro pensare che un piccolo uomo possa fare un grande rumore dentro il silenzio assordante di luoghi millenari sperduti eppure è proprio così.

Oggi, laggiù, gli aranci, gli ulivi, le pietre nude è quell’albero secolare unico e mai visto altrove sembrano testimoniare ancora la presenza silenziosa di chi ha scelto di vivere distante dalle futilità e dall’inutile società moderna. Sono convinto che l’ultimo eremita della Sila vivrà in eterno, basterà andare tra quei monti e guardarsi intorno per avvertirne la sua misteriosa presenza anche se i suoi passi non faranno più rumore.

Gianluca Congi