I toni allarmistici e le assurde ipotesi che accompagnano la notizia che circola in questi giorni sull’avvistamento di tre lupi nel catanzarese, sono un’ amara conferma di come l’atavica avversione nei confronti di questi animali sia ancora ben lungi dall’essersi esaurita.

Non contenti di averli massacrati per secoli con ogni mezzo, compresa la gassificazione delle tane con piccoli, fino a farli scomparire da molte nazioni europee, e di averli ridotti al lumicino in Italia, con circa cento (cento!) esemplari in tutto, censiti agli inizi degli anni 70 da Zimen e Boitani, l’avvisamento di uno sparuto gruppo del carnivoro fa letteralmente gridare “al lupo, al lupo!”.

Ma veniamo ai fatti. Dal mese di novembre ad oggi (riporto testualmente) sono stati registrati dieci casi di ovini sbranati in una località non lontana da Catanzaro, mentre l’avvistamento dei tre individui si è verificato nei giorni scorsi, a qualche chilometro di distanza. Ebbene, pur non potendo escludere a priori che gli autori dell’attacco siano stati i lupi, allo stesso modo si converrà che il semplice avvistamento, oltre tutto non nell’immediatezza del fatto, non costituisce di per sé una prova “di colpevolezza”. Per quanto poi concerne il dichiarato accertamento autoptico da parte di un veterinario che avrebbe certificato che “il morso e le modalità sono proprio quelle tipiche dei lupi”, mi permetto di avanzare qualche perplessità, visto e considerato che la distinzione tra un attacco mortale e conseguente sbranamento da parte di un lupo e quelli di grossi cani richiede una preparazione tecnica e un’esperienza sul campo non comuni, frutto di comparazione tra diversi parametri che, nell’insieme, possono portare con una buona probabilità di successo, a discriminare l’attacco al bestiame compiuto da lupi rispetto a quello dei cani. E’ dunque legittimo domandarsi: quanti attacchi certi di lupi sono stati verificati prima, e con quali criteri, rispetto a quelli di origine “canina” tali da consentire un giudizio così netto e inequivocabile?

Da uno studio specifico (Alotto, 2003) è infatti emerso che spesso “vengono attribuiti al Lupo, gran parte degli attacchi anche quando non esiste questa evidenza” ) e si ricordano i 57 capi la cui morte era stata attribuita ai lupi, che solo in sei casi venne confermata “da un veterinario debitamente formato”.

Personalmente ricordo il boom di richieste di risarcimento danni da lupi dopo l’entrata in vigore della Legge Regionale 3/86 , tale da provocare un’inchiesta della Guardia di Finanza, visto che tali rimborsi avevano sfiorato la ragguardevole cifra di 900.000.000 delle vecchie lire, a fronte di una popolazione di lupi stimata allora in non più di una cinquantina di animali in tutta la regione, e quindi con un rapporto vitelli divorati/lupo tale da condannare il predatore ad una condizione di inattività per manifesta obesità.

Il che non vuol dire, ripeto, che il lupo non predi pecore o vitelli anche in presenza di ungulati selvatici, ma che anche nel caso di Catanzaro, l’ uccisione di dieci pecore in sei mesi, in mancanza di altre prede (vedi ad esempio piccoli di cinghiale o rossastri o malati), calcolando il fabbisogno giornaliero di carne al giorno e anche la possibilità di resistere a lunghi periodi di digiuno, avrebbe condannato i tre lupi catanzaresi alla morte per fame.
Detto ciò, pur riconoscendo il danno effettivo subito dall’allevatore (con il beneficio del dubbio sugli autori del misfatto), non siamo certamente di fronte ad un’emergenza lupi, considerato che la densità di questo predatore, al vertice della piramide alimentare, è valutata di 1-3 individui ogni 100 Km2 e che, livello riproduttivo, non stiamo parlando né di topi, né di conigli, tant’è che ci sono voluti circa vent’anni per vedere la popolazione italiana passare da circa 500 a circa 1500 lupi.

Di una cosa comunque gli allevatori possono stare certi: non è stato messo in atto nessun “piano segreto” di “ripopolamento” di lupi per contrastare la presenza dei cinghiali (a parte il fatto che se non ci sono riusciti 13.500 cacciatori, i selettori e i cappi che strangolano i cinghiali, e tutto quello che di peloso ha una certa taglia…, è difficile che tre soli lupi, per quanto proverbialmente affamati, possano debellare la piaga suina).
Di fronte alla predazione e ai danni alla zootecnia da parte di carnivori, siano essi cani rinselvatichiti o lupi, non esiste dunque altra strategia se non quella indicata in più occasioni dagli organismi scientifici (ISPRA) e dal Ministero dell’Ambiente, per il controllo del randagismo canino e per l’adozione di sistemi di prevenzione e di mitigazione del danno. Non un solo intervento, ma tutta una serie di iniziative, adottate sulla base delle particolarità locali che in diversi contesti territoriali hanno visto ad esempio l’impiego di particolari cani da guardia (la razza maremmana- abruzzese , il Komondor , cane dei Pirenei ecc.), l’uso di recinti elettrificati, la stabulazione notturna protetta, scoraggiando il più possibile la conduzione del pascolo delle greggi allo stato brado, che invece dovrebbero essere sempre accompagnate dal pastore o da cani da difesa.

A meno che, viste certe tendenze in atto, non si voglia ripristinare l’antica tradizione dei “Lupari” e assegnare un premio per ogni testa di lupo consegnata.
Infine due parole sul paventato pericolo per la sicurezza dei cittadini: l’ultimo caso documentato di aggressione all’uomo da parte di lupi in Italia risale al 1825 (Gattinara , VC), mentre in Italia risultano invece dal 3 settembre scorso ad oggi ben sei casi di aggressione all’uomo da parte di bovini, di cui quattro mortali (tra cui un ragazzo di 15 anni a Modica, in Sicilia), per cui, stando alle statistiche e considerando le centinaia di migliaia tra escursionisti, fungaioli, cacciatori e gitanti della domenica che non hanno mai subito aggressioni da lupi (da cani di pastori sì), dovremmo concludere che sono più pericolose le vacche che non i lupi.

Di fronte al problema delle interferenze tra i predatori carnivori e le attività zootecniche esistono delle esperienze che provano che una certa coesistenza tra uomo e l’animale possa realizzarsi, nell’interesse di chi lavora e impegna i suoi capitali nel settore, ma anche per conservare quei 1500-2000 lupi che in Italia, tra 7,5 milioni di vacche, 13 milioni di pecore e capre, 300.000 cani randagi e le fucilate dei bracconieri, riescono ancora a lanciare il loro ululato nelle notti di luna piena.

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Dott. Giuseppe Paolillo
Responsabile Settore Conservazione
WWF Vibo Valentia
calabria@wwf.it

Credits: le foto del Lupo appenninico in copertina e delle sue impronte nella neve del Parco Nazionale della Sila sono di Gianluca Congi ©